02/01/2016

Ad Aggius ed in genere nella Gallura tutta, nel 1800 la persona agiata, il ricco possidente, abitava con la sua famiglia in un’accogliente casa fatta in granito e con muri a vista. La casa era solitamente accompagnata da un locale attiguo o prospiciente, quest’ultimo separato dalla casa mediante un piccolo spiazzo libero ed aperto “la colti”.

Il locale, ”la casedda”, grande quanto un’ampia stanza, con le pareti in granito a vista o ricoperte da grezzo intonaco di fango, fungeva da magazzino. Aveva una rustica porta, ”la janna” che dava alla “colti” e nella parete opposta solitamente un finestrino, dalle dimensioni molto ridotte,”lu balcunittu” che aveva la funzione di aerarlo, limitando però opportunamente l’entrata al caldo estivo o al freddo invernale.

In “la colti”, vicino alla porta del magazzino, non mancava un focolare “sui generis” ma funzionale, costruito con sassi posti a forma circolare, un atipico “fughili” con l’immancabile treppiede “trìbbita” che era sempre pronto a sostenere i grossi pentoloni o i paioli “caldàri”, dove in occasione di feste o ricorrenze varie si cuocevano le carni o la “suppa”, o dove si scaldava il latte per la preparazione del formaggio “casgju”, e della ricotta “brozzu”. Vicino era “la disca”, un contenitore circolare di metallo dove prendeva forma il formaggio, e “la vùlcula”, la sua base in legno da appoggiare a “lu caldari”.

Nel magazzino, appesi in parete, vicino alla porta, erano gli utensili necessari all’uopo: la graticola “graiglja”, gli spiedi “spiti”, i grossi mestoli “truddi”, le schiumarole “truddi paltusàti, i paioli e i grandi coperchi. In un angolo del magazzino veniva sistemata “la luscja”, una grande stuoia di canne staccate a strisce che aveva la forma di cilindro e dove veniva conservato il grano di provvista per un anno e anche di più, per eventuali annate cattive. Vicino ad essa non mancava il sacco contenente farina grezza non raffinata. Accanto a “la luscja”, in parete, si notavano appesi i setacci : “lu siàzzu lalgu” utilizzato per la separazione della farina dalla crusca e “lu siàzzu strintu” per la separazione della farina bianca dalla semola; vicino a questi era “la siàzzatogghja”: base in legno per appoggiare i setacci durante la setacciatura; facevano bella mostra di sé anche i canestri “canistrèddi”, di varie misure, che servivano per contenere il pane appena fatto: ”catrigghji” di farina bianca e “cocchi” di semola, oppure i dolci caratteristici tradizionali, da portare al forno per la cottura.

In “la casedda” erano appesi anche i cestini “zubbìni” di varia grandezza, che venivano usati per contenere frutta o provviste; le zucche secche, di varie forme e svuotate della polpa e dei semi “zùcchi”, usate per contenere liquidi; e i recipienti fatti in sughero per usi vari.

Appesi in un altro angolo e ben riposti, al riparo da occhi indiscreti, erano i fucili “fusìli” e le cartucciere “caltuccèri” usati per la caccia al muflone, al cervo e al cinghiale “pulcàvru”, e alla minuta selvaggina: lepri “lèppari”, tortorelle “ tuttùrelli” e pernici “pranìzi”[1].

Sotto il soffitto fatto di canne “cannìzzu” e vicino al finestrino, sospesi in aria tramite corde ancorate alle travi, pali grezzi di abete o faggio “bàltighi”, sorreggevano gli insaccati: ”salàmmu” e “saltìzza”, confezionati dopo l’uccisione del maiale “pulchinàtu” e lasciati lì a seccare e a tempo determinato.

In queste righe si è voluto descrivere il magazzino classico del 1800 perché si sappia che tale e quale fu “la casedda” sita nell’attuale Via delle Confraternite, risalente appunto al 19°secolo e di cui fu proprietaria Rosa Vasa in Pasella, dagli aggesi meglio conosciuta come zia Cioja, madre dell’attuale proprietario Andrea Pasella.
Si accedeva ad essa da “la colti” mediante una porta antica e per entrarvi bisognava scendere per alcuni gradini “scalini”,essendo stato il magazzino costruito in un piano più basso rispetto a quello di “la colti”, con le pareti che in alcuni punti poggiavano e poggiano sulla viva roccia; ”la casedda” era ed è inoltre dotata di una porta laterale che si apre nella strettoia che mette in comunicazione Via Marconi con l’attuale Via delle Confraternite che già da tempi non recenti era conosciuta come Via delle Poste.

Nell’anno 1954 questa antica costruzione subì purtroppo delle modifiche che ne hanno alterato la funzionalità ed indebolito la struttura. Con l’intervento del muratore Leonardo Tansu e sotto la direzione del prof. Giovanni Andrea Cannas venne abbattuta parte della parete dove era il finestrino che così scomparve; con il sostegno di un arco in granito si ricavò una grande apertura per far si che si potesse accedere al locale direttamente dalla Via delle Confraternite e per poter avere una diversa utilizzazione. Per avere facile accesso si abbassò in parte il livello del pavimento grezzo con conseguente danno alla struttura muraria perimetrale.
Il magazzino fu, allora, diviso in due parti mediante una parete fatta di tavole; la parte superiore con l’accesso a “la colti” fu utilizzata da zia Cioja come legnaia e la legna veniva introdotta in essa tramite la porta laterale che si trova nella strettoia; la parte con il livello di base più basso fu data per un uso non remunerato alla famiglia di Giovanni Pirisino, che abitava lì di fronte.

Nell’anno 2005, notati segni di cedimento della struttura, si intervenne col rifacimento del tetto e con la messa in sicurezza dei muri antichi pericolanti che sono ora sorretti da cemento armato posto alla base dei muri e che sono inoltre tenuti in piedi tramite tiranti che impediscono alle pareti di crollare; e ci si augura per un lungo periodo di tempo ancora.
Il magazzino, ricondotto ad essere un unico locale è oggi una costruzione di rilevanza storica, è soggetto a vincolo ed è posto all’attenzione del Comune e della Sovrintendenza ai Beni Culturali e delle Belle Arti; esso non può più subire interventi maldestri, non può più essere modificato nella sua struttura riportata in parte a quella originaria. Per la sua “età” merita rispetto e cura.

“La casedda di zia Cioja” ha oggi l’apertura con l’arco dotata di un cancello in ferro battuto di buona ed elegante fattura e chiuso nella parte bassa da vetro antisfondamento; pare che vi si voglia sistemare all’interno un vecchio mulino antico recuperato, che faccia bella mostra di sè in quel giusto luogo.

Il turista, ospite ad Aggius, si ferma ad osservare questo nostro antico bene culturale che sta lì a testimoniare non si sa per quanto tempo ancora un passato remoto della nostra storia, un modo “vivendi” fatto di cose semplici e genuine che appaiono sbalorditive ai nostri tempi, oggi in cui più niente è duraturo; nell’arco di pochi decenni infatti tutto cambia: nelle strutture, nei modi di vita e nei modi di essere.

Foto 1-Aggius 1921: scena del film “Cainà”, girata in Via delle Confraternite. In fondo è parzialmente visibile “la casedda di zia Cioja” senza l’arco.

Foto 2-Aggius 1999: ”la casedda” addobbata con un tipico tappeto aggese in occasione della processione del Corpus Domini.

Foto 3-Aprile 2005 “la casedda di zia Cioja” durante il restauro.

Foto 4-Dicembre 2006: la Natività, opera dell’artista Simone da Aggius.

[1] Qualche volta si faceva uso del fucile in modo improprio, contro i propri simili! Vedi: faide

 

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